Il precariato nel nostro Paese ha rappresentato uno dei più importanti temi del lavoro,
sin dagli anno 90 quando si varavano le prime risposte alla liberalizzazione del mercato del lavoro
Sul finire degli anni 90, l'Italia cerca di rispondere ad un'Europa che chiede più liberismo in fatto di lavoro, attraverso una deregolamentazione del mercato già vista in altri Paesi e che, ad esempio nel Regno Unito, non aveva prodotto per i lavoratori altro che incertezza.
Con il pacchetto Treu del 1997, dal suo artefice
Tiziano Treu,
Ministro del lavoro e della previdenza sociale nel Governo Dini e nel
Governo Prodi, inizio il calvario del "precario" italiano.
La legge Biagi, infatti, nel 2003 darà ampio spazio alla fantasia giuslavoristica definendo i buoni lavoro (voucher), strumento originariamente pensato per favorire l'emersione del lavoro nero, ma che nella realtà italiana fu utilizzato al contrario quasi, amplificando così il fenomeno di una flessibilità legale e fuori controllo, origine dell'aumento indiscriminato di lavoratori precari, in modo particolare tra le nuove generazioni.
All'impossibilità, da parte di questi lavoratori, di programmarsi un futuro lavorativo e familiare certo, va aggiunto, per buona parte degli stessi, un salario mensile che nel 2007 non raggiungeva i 1.000 euro mensili, cifra media che scendeva a circa 750 euro per le donne. All'inizio della seconda decade del millennio, la maggior parte dei precari orbitava nel Pubblico Impiego, ripartita tra sanità e scuola (mezzo milione), servizi socio assistenziali (poco meno di mezzo milione) e amministrazioni pubbliche di vario tipo.
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Sydney Sibilia
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