Il mito del posto fisso nell'Italia del dopoguerra. Domenico Cantoni, un giovane della provincia di Milano, si reca in città per partecipare ad un concorso indetto da una grande azienda per alcuni posti di impiegato.
Affrontare i grandi temi del lavoro, del sindacato, della partecipazione e della rappresentanza ricorrendo al linguaggio universale del cinema. Con Cinema & Lavoro vogliamo proporre non solo titoli da guardare e gustare, da soli o in compagnia, ma anche offrire spunti di riflessione rinunciando agli schemi della formazione accademica.
Domenico Cantoni, un giovane della provincia di Milano, si reca in città per partecipare ad un concorso indetto da una grande azienda per alcuni posti di impiegato. Domenico supera le prove ed è assunto; ma in un primo momento si dovrà accontentare di essere un fattorino, al contrario di Antonietta, una giovanissima ragazza di Milano, conosciuta durante le prove e assunta come impiegata. Purtroppo i diversi turni e le diverse mansioni impediranno ai due ragazzi di incontrarsi ancora. Si avvicina il Capodanno e Domenico, inaspettatamente, incontra Antonietta che lo invita a prendere parte alla festa che sarà organizzata dal CRAL aziendale. Domenico partecipa al ballo, ma Antonietta non c'è. Il dolore per quella delusione sarà tuttavia reso sopportabile dalla notizia che, per la morte di uno degli impiegati, Domenico lascerà la divisa di fattorino per avere una scrivania tutta sua.
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Il posto, contiene molti elementi tipici del cinema del
maestro Olmi: una predilezione per gli ambienti rurali e suburbani, l'elogio della semplicità, le difficoltà del singolo
nell'impatto con la società, l'innamoramento giovanile. Olmi tratteggia il percorso di Domenico,
questo giovane senza troppe qualità, dalla provincia sonnacchiosa alla
metropoli frenetica, dove è in atto quel boom economico che sta
cambiando la società. Con
l’utilizzo di una cinepresa tranquilla ma penetrante, Olmi guarda, esplora il
mondo degli adolescenti, la timidezza quasi patologica,
di Domenico e in contrapposizione l’intraprendenza di Antonietta-Magalì,
esamina gli uffici e gli interminabili corridoi senza troppo condannare
la struttura piramidale dell'impresa.
Il Posto è uno dei primi film veramente liberi italiani, racconta una storia di
costrizione e di frizione tra tradizione e modernità, Il Posto è chiaramente il posto di lavoro che
un giovane dell'hinterland raggiunge a Milano e il film racconta il processo di
selezione per l'impiego in
questione con qualche accenno grottesco e molta malinconia. I suoni in presa diretta forse sono la
cosa più sorprendente (assieme alle molte sequenze che sembrano rubate)
fondamentali per creare lo
spazio e disegnare una dimensione tridimensionale nella quale avviene l'azione,
stimolando sensazioni ed "odori". L’uso
espressionista del dialetto, volti non professionisti, senso del grottesco e un
ottimo incastro dei personaggi nel contesto urbano
fanno del Posto un film italiano d’eccellenza, della miglior scuola, che tiene
ferme le regole della tradizione e allo stesso tempo
sorpassa il confine nazionale e temporale. (Vincenzo Ardito, Cined).
Olmi descrive con onestà e senso della realtà il mondo del lavoro, in un
film che racconta «la presa di contatto di Domenico, ancora integro
nella sua fresca disponibilità e intelligenza, col desolato, intristito,
squallido mondo impiegatizio»
(Morando Morandini, in Lontano da Roma: il cinema di Ermanno Olmi. Firenze, La casa Usher, 1990).
Non si tratta solo di una storia individuale, ma della transizione
epocale di un'intera società: «I miei primi film sono storie sulla
povertà ma in cui c'è sempre un po' della storia del nostro paese. Il
passaggio dalle società contadine a quelle operaie, o da queste alla
nuova borghesia. Nel Posto lo si vede bene nella casa di
Domenico, una cascina in cui non si lavora più la terra ed è diventata
solo un dormitorio per gente che va a lavorare in fabbrica e in città.
Tra poco in quelle stalle senza più animali avrebbero messo le Lambrette
e le Seicento»
(
Alberto Farassino, Il posto di Olmi precursore di Dogma, in la Repubblica, 5 giugno 2001).
«Un film antispettacolare che, con ironica levità, offre un quadro acuto
della condizione piccolo-borghese nella Milano degli anni Sessanta, con
attenzione e simpatia per il giovane protagonista.»
(Paolo Mereghetti, Il Mereghetti. Dizionario dei film 2000, Baldini Castoldi Dalai, 1999).
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