Impossibilità di richiedere la restituzione di quote di retribuzione percepite in buona fede

Un'importante sentenza della seconda sezione del Consiglio di Stato (n. 5015 del 1/7/2021) ha affrontato e risolto in modo convincente il delicato problema della richiesta da parte delle amministrazioni della restituzione di quote di retribuzione erogate erroneamente, ma percepite in buona fede dal lavoratore dipendente.

I casi che si presentano nel mondo del lavoro pubblico italiano sono molti e alcuni anche di diretto interesse sindacale. Casi dei quali anche la CISL FP di Verona ha dovuto affrontare in tutela e per conto dei lavoratori coinvolti. Un esempio è quello delle richieste di restituzione in conseguenza del cosiddetto “danno da contrattazione”.

Finora solo parzialmente e nemmeno i tutti i casi si era riusciti, a volte con provvedimenti legislativi “ad hoc”, a tamponare una richiesta di restituzione che comportava per il lavoratore un danno economico immediato che poteva riguardare anche molti anni addietro.

La legislazione italiana (art. 2033 c.c.) è molto rigida in materia perché obbliga il datore di lavoro a richiedere la restituzione, senza considerare le conseguenze sull’interesse del lavoratore. E invece proprio un “interesse economico sufficientemente riconosciuto e significativo” del lavoratore è valorizzato dalla recente giurisprudenza del Consiglio di Stato che, in verità, si adegua ad una sentenza della Corte Europea dei diritti umani  che, a sua volta, richiama il “Protocollo addizionale alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali”.

L'articolo 1 di quest'ultima recita infatti che “ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale”.

Il Consiglio di Stato, che richiamando la citata sentenza CEDU, afferma che l’aver percepito in buona fede una quota retributiva per un prolungato periodo di tempo deve farla considerare come parte della “proprietà” del lavoratore e, di conseguenza, ogni richiesta di restituzione contrasta con l’art. 1 del Protocollo.

Questa tutela rafforzata dell’interesse economico del lavoratore si realizza in presenza di determinate condizioni che comportano l’impossibilità da parte dell’amministrazione di richiedere la restituzione. Per completezza di informazione nei confronti di ci legge cerchiamo di semplificarle e rissumerle:
  • il pagamento di un assegno deve essere effettuato a seguito di una richiesta del beneficiario che agisce in buona fede (...) o, in assenza di tale richiesta, dalle autorità che procedono spontaneamente;
  • il versamento in questione deve essere effettuato da un ente pubblico, amministrazione centrale dello Stato o altro ente pubblico, sulla base di una decisione presa al termine di un processo amministrativo e presumibilmente corretta (...);
  • deve essere basato su una disposizione legale, regolamentare o contrattuale, la cui applicazione deve essere percepita dal beneficiario come la “fonte” del pagamento (...), e anche identificabile nel suo importo;
  • è escluso il pagamento manifestamente privo di titolo o basato su semplici errori di calcolo; tali errori possono essere rilevati dal beneficiario, eventualmente ricorrendo ad un esperto;
  • deve essere eseguito per un periodo sufficientemente lungo da far sorgere una ragionevole convinzione che sia definitivo e stabile (...);
  • l’assegno versato non deve essere riconducibile ad un’attività professionale una tantum e “isolata” ma deve essere collegato all'attività ordinaria;
  • il pagamento in questione non deve essere stato effettuato con menzione di una riserva di ripetizione.
Detto questo i punti delicati della questione sono
  1. che non deve trattarsi di attività professionale “una tantum e isolata”. Questo significa che la voce retributiva deve essere stata erogata in modo continuativo e stabile. Da questo punto di vista, ad esempio la retribuzione di produttività o di performance non ha i caratteri della occasionalità, trattandosi di erogazione periodica basata su criteri noti e stabili; proprio tali caratteristiche normative dotano la retribuzione di produttività di natura retribuiva in quanto in possesso dei caratteri di obbligatorietà, continuità, costanza, determinatezza o determinabilità.
  2. Il pagamento non deve essere stato fatto con riserva di restituzione.
Soprassedendo ai tecnicismi giuridici, in sintesi,  si ricava il seguente principio di diritto: “La costante attribuzione nel tempo senza riserva di un emolumento, avente carattere retributivo non occasionale, ad un lavoratore in buona fede, operato dalla pubblica amministrazione datrice di lavoro, ingenerante il legittimo affidamento del lavoratore sulla spettanza delle somme, impedisce la ripetizione di tale emolumento (benché indebito ai sensi delle diposizioni nazionali), in quanto tale ripetizione comporterebbe la violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 addizionale alla Convenzione”.

Sempre per completezza ricordiamo che il fatto che il giudice italiano disapplichi la normativa nazionale per adeguarla a quella europea, come in questo caso ha fatto il Consiglio di Stato, rientra nei rapporti tra ordinamento nazionale e ordinamento dell’Unione, come affermato ad esempio da diverse sentenze del Consiglio di Stato.